Un tempo altrove
Ho rappresentato spesso nei miei pensieri la storia dell’evoluzione umana che si manifesta come una complessa costellazione in una galassia di nero oblio, dove i cicli storici sono stelle brillanti, all’interno delle quali si rivela un codice matematico da decifrare per la costruzione di un’equazione infinita; i codici si tramutano in un algoritmo.
Ora pensiamo alla psicostoria di Isaac Asimov e ai suoi romanzi della Fondazione: immaginiamo uno schema, un modello storico, fatto di previsioni, variabili da contemplare, da poter scegliere e provare a evitare. Immaginiamo di poter scrivere la storia del futuro e di insegnarla a scuola. L’idea di futuro è legata a ciò che deve ancora palesarsi ed è un concetto che tende ad avere una collocazione temporale che fluttua incessantemente tra un presente appena passato e un istante in continuo divenire.
Proviamo a proiettarci in un tempo nel quale l’educazione scolastica è collocata al centro di ogni scelta politica, etica, economica. Un ipotetico tempo altrove, frutto di memorie vissute da altre persone, attente a valorizzare e preservare un patrimonio conoscitivo nel suo momento intuitivo per eccellenza: la giovinezza. In questo tempo la scuola è il luogo di formazione per antonomasia, un’istituzione in cima alle priorità della società civile. Tornare a percepire il nostro oggi e la contestuale considerazione dell’educazione scolastica forse appare ora più avvilente.
Una storia del tutto
Dalla trasmissione della conoscenza derivano un insieme di dinamiche culturali, politiche ed economiche che possono condurre una civiltà verso il baratro o verso la cima del mondo in termini evolutivi. La chiave del nostro crescente controllo e del nostro ruolo su questo pianeta risiede nella condivisione del sapere. Su questo tema, la storia delle società ci ha insegnato molto, e ci ha invitato di frequente a guardare indietro con occhi distanti per comprendere quanto già vissuto, senza l’ansia del momento; in questo i vivi hanno un vantaggio rispetto agli estinti, troppo spesso sottovalutato.
Se dovessimo, dunque, definire lo spazio dove il processo di sviluppo individuale e collettivo viene investito dalla diffusione della conoscenza, questo sarebbe proprio la scuola, il complesso microcosmo che si genera tra esperienza e ineluttabili ricordi, accessibili alla nostra memoria in ogni età della vita terrena. La scuola ha una dimensione formativa caratterizzata da spiccate somiglianze ma anche da difformità che si ripetono generazione dopo generazione.
Ogni essere umano può avere dei trascorsi accademici complessi, altalenanti e caratterizzati anche dalla ricerca di evasione da una noia indotta dai programmi didattici; un approccio allo studio, ad esempio, animato da un’instancabile attività intellettuale va nutrito e saziato, leggendo e studiando una mole smisurata di testi, saggi, rapporti su tematiche che possono spaziare dalla storia, alla scienza, dalla metafisica alla sociologia e alla matematica, fino alla sublimazione teorica del proprio intento.
L’istruzione può non tenere adeguatamente conto di questa eventualità e indurre alunni e alunne a cogliere in autonomia solo il meglio da ciò hanno a disposizione, a ricercare il proprio metodo di studio e ad appagare il costante bisogno di conoscenza al di fuori delle aule scolastiche. Il dilemma è che studenti e studentesse con simili caratteristiche di apprendimento dovrebbero vivere la scuola attraverso un orientamento meno ortodosso e più diversificato e interdisciplinare, per allontanare il rischio di una prevedibile monotonia cognitiva.
Provo a riportare un caso: sono laureata in Storia moderna e contemporanea e sono stata affascinata dalla storia delle epidemie. Studiando le epidemie, non ho potuto fare a meno di approfondire tematiche di biologia per capire i meccanismi di trasmissione di batteri e virus. Ho scoperto che gli stessi batteri (come l’Uomo) si sono evoluti e trasformati adattandosi alle nuove abitudini dei loro ospitanti (la spirocheta della framboesia trovò un metodo sostitutivo per passare da un ospite all’altro divenendo Sifilide… tutti cercano il proprio spazio nel mondo). Questa ricerca mi ha condotto a studiare le conseguenze sociali dell’evoluzione delle epidemie (lato demografico, economico – pensiamo a come allo scambio di merci corrispondeva spesso uno scambio di infezioni e una conseguente variazione negli equilibri sociali delle terre e dei popoli coinvolti) e la sociologia ha aperto nuovi scenari, passati e futuri.
I programmi scolastici non insegnano a ragionare trasversalmente se non in maniera marginale; viceversa, al fine di trasmettere una visione olistica del mondo come della nostra esistenza e della nostra storia, un approccio interdisciplinare e una coraggiosa contaminazione dei saperi possono rappresentare un’occasione di crescita culturale per ogni apprendista. Tralasciando il troppo diffuso giudizio per il quale chi si occupa di tante discipline non può essere padrone di nessuna di esse, la scuola dovrebbe aprirsi a una storia del tutto, un approccio in stile Big History, al quale integrare percorsi esperienziali, attraverso l’impiego di realtà aumentata, realtà virtuale, simulazioni e giochi di ruolo.
Esperimenti di formazione laboratoriale, mirati a rendere gli studenti più interessati e proattivi nello studio attraverso l’impiego di risorse didattiche correlate alla comunicazione e al digitale, restano ad oggi sporadici e poco diffusi. Pensiamo ad esempio alle narrazioni storiche partecipate, diffuse grazie alla Public History, e al contributo che queste pratiche possono fornire alla scuola; allievi e allieve potrebbero percepire i docenti come facilitatori nella trasmissione della conoscenza.
Nel lungo periodo, il raggiungimento dell’interdisciplinarietà andrebbe visto come una sfida a mantenere standard alti unitamente a un aggiornamento continuo in materia digitale e di divulgazione; è un lavoro che richiede un impegno e una creatività costanti in ogni docente. L’esigenza di uno studio, che si consolidi sia attraverso le aule scolastiche che i mezzi di comunicazione di massa, potrebbe diventare un punto di forza per gli istituti che svilupperanno tale consapevolezza.
Queste considerazioni, frutto di un vissuto e di un lavoro di pensiero del tutto personali, ne hanno ispirate altre, più visionarie e di orientamento avanguardista; pensare all’impiego di giochi e simulazioni per apprendere il passato è stimolante e offre scenari che invitano a un ragionamento continuo, ma volendo guardare in avanti, io vedo dell’altro.
Un tempo circolare
Ritengo la fantascienza una questione molto seria; la produzione letteraria e cinematografica ha regalato all’umanità tempi, luoghi e spazi che hanno schiuso la mente a inaspettati universi creativi, incoraggiando la ragione a spingersi oltre la reale consapevolezza. Valutare con diverso piglio intellettivo alcuni degli ambiti immaginati dagli autori conferirebbe a questi uno status di convincente, seppur audace, ammissibilità.
Si può trarre grande illuminazione dal mondo della fantascienza e si possono alimentare estro e mente per un impiego quotidiano della creatività. Qualunque esperienza può infondere una nuova considerazione del potere dello stimolo inventivo e ispirare un’attenzione particolare verso l’apporto fortemente educativo dell’esercizio dell’immaginazione. Come un muscolo da allenare per ottenere le prestazioni desiderate, così la nostra immaginazione va addestrata, messa alla prova e nutrita con ardente sollecitudine.
L’immaginazione di cui parlo potrebbe essere la stessa della quale spesso si mostrano carenti coloro che hanno facoltà decisionali e possono apportare benefici o provocare complicazioni a fette cospicue di umanità; proviamo a pensare al perché non eravamo pronti a fronteggiare questa pandemia, per esempio, pur avendo da anni a disposizione dati e conoscenza condivisi.
Ipotizzare l’inevitabile può essere oggetto di oscurantismo e ottuso negazionismo, anche di fronte a disastri o tragedie già vissute, purtroppo riproponibili, e, in alcuni casi, addirittura prevedibili, grazie allo studio di uomini e donne che mettono a disposizione della scienza e dell’umano sapere il proprio ingegno e la propria lungimiranza.
Il passato insegna, mette in guardia, e immaginare cosa ci aspetta nel futuro non significa sognare a occhi aperti (non solo almeno), ma visualizzare dei contesti possibili, plausibili e auspicabili, e anche quelli distopici, attraverso metodologie agli esperti di Futurologia ben note. Rivolgere lo sguardo all’indietro, a una storia come Magistra vitae e pensare poi al futuro, è una tentazione che ha emozionato scrittori e pensatori, i quali hanno sentito il bisogno di rilevare dalle vicende antropiche gli strumenti permanenti di conoscenza del comportamento umano e della sua prevedibilità.
Secondo Gian Battista Vico la storia è governata da leggi che hanno un’origine trascendentale; per Machiavelli, le forme di governo si ripetono nel tempo. Il loro pensiero illuminato sui corsi e ricorsi storici e sui cicli che si replicano non si spinge fino ad asserire che la storia possa essere prevedibile, poiché la storia sovrasta sempre l’uomo che nulla può modificare con assoluta probabilità di successo. Il confronto con questa aspirazione che vede nella serialità degli eventi lo spazio per inserire e utilizzare elementi predittivi ha indotto la scienza storica ad avvalersi di concetti come il fattore prevalente, la crionometria o i modelli metaempirici.
Per molto tempo ho ragionato sulla possibilità di “giocare” a pianificare il futuro prendendo come riferimento eventi storici che nel tempo si sono ripetuti in diversi contesti, ma rispettando, tuttavia, una sorta di schema; nel frattempo mi imbattevo in testi di storici che negano la possibilità che la storia possa replicarsi ed essere oggetto di una vera e propria previsione. Il confine tra plausibile e prevedibile meriterebbe ampia discussione ed è un tema che può solleticare la curiosità, accendendo un dibattito interiore tra storia qualitativa e quantitativa. Per onestà intellettuale vale la pena sottolineare che il modello matematico applicato allo studio della storia tende a semplificare quanto per sua natura è al contrario assai complesso; il rischio, non potendo contemplare tutte le ambiguità e dovendo operare una selezione nelle scelte, è quello di procedere per similitudini e pure generalizzazioni.
Dunque, se il pensiero più diffuso afferma che la storia non si può prevedere, a che cosa potrebbe servire tutto questo fantasioso quanto ostinato ragionare? Il passato è un dato non modificabile, ma la sua conoscenza può essere perfezionata continuamente e può favorire l’impiego di un differente sistema di studio della storia, delle discipline ad essa collegate e del nostro futuro. Questo approccio, congiunto ad un metodo di studio non accademico, potrebbe potenziare l’immaginario di una categoria sociale che può realmente fare la differenza.
Ritornando all’introduzione di questo articolo, penso di nuovo ad Asimov e alla sua psicostoria. Parliamo di un puro esercizio di immaginazione applicato allo studio, ponendosi degli obiettivi a breve, medio e lungo termine e dilettandosi a prevedere cosa accadrebbe politicamente, ecologicamente, socialmente, economicamente, se…
Immaginiamo un manuale di storia futura, un progetto per allenare la mente al ragionamento deduttivo, alla simulazione, partendo dall’analisi di un passato a noi ben noto. Un testo da costruire con studenti e studentesse, una storia da edificare con uno sguardo al passato e a tutto ciò che possiamo guadagnare in termini di insegnamento.
Un manuale interattivo, capitolo dopo capitolo, tutto da erigere in base alle scelte da definire. Finali alternativi potrebbero costituire un monito oppure un modello al quale mirare. Insegniamo a ragazzi e ragazze a chiedersi i motivi nascosti di una migrazione, di una guerra o di un’epidemia. Passato e futuro possono essere serenamente correlati e il nostro orizzonte degli eventi può muoversi avanti e indietro sulla linea di un tempo idealmente circolare ma in costante evoluzione.
Un futuro da edificare
La comprensione della nostra storia si sviluppa non lasciando nulla al caso, studiando gli uomini, i popoli, le civiltà, avvenimenti epocali ed eventi più piccoli e apparentemente insignificanti. Proviamo ad immaginare la storia come una scienza e infondiamo una nuova consapevolezza verso il futuro, nella quale siano piantate radici e conoscenze antiche. Insegniamo a ragionare e immaginare il futuro allenando studenti e studentesse ad un pensiero divergente e creativo e chiedendo quali risposte loro osino presumere per il domani. Volendo prevedere l’esito di una simile esperienza educativa, confiderei nelle straordinarie capacità intuitive delle giovani menti coinvolte.
E volendo ancora guardare al futuro, mi piace pensare che considerare la storia come lo studio degli uomini nel tempo, possa trasportarci in un tempo ancora da edificare.
Ottimo punto di vista, molto ben argomentato.
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