Estratto da La fine dell’invecchiamento, in uscita per D Editore.
Si è sempre detto che le persone muoiono per colpa dell’età, anche se sembra che di questi tempi avvenga di rado, se leggete ciò che viene scritto sui certificati di morte. La frase “cause naturali” è diventata la formula condivisa per indicare una morte avvenuta in età avanzata e in assenza di una patologia ben definita. Ai giorni nostri, comunque, questa formula è considerata troppo poco informativa, e i coroner, o i loro equivalenti in altre nazioni, sono spinti ad esser più specifici. Tutti sappiamo che un certo numero di persone effettivamente muore in questo modo, ovvero non a causa di un attacco di cuore, di un’influenza o di una polmonite, né a causa di un cancro. Nemmeno per colpa di un colpo apoplettico, ma durante il sonno, semplicemente perché il loro cuore si ferma. Queste persone, relativamente fortunate, indubbiamente cessano di vivere a causa della vecchiaia (…). Per tutti gli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta, mentre la gerontologia stava compiendo grandi sforzi per venir considerata come legittima disciplina nel campo della biologia, si sviluppò una retorica per cui le infermità causate dalla vecchiaia erano distinte tra due fenomeni: da una parte le malattie correlate all’età, dall’altra l’invecchiamento stesso.
Questa distinzione è stata pubblicamente difesa sulla base del fatto che tutti invecchiamo, mentre nessuna malattia legata all’invecchiamento è invece universale. La motivazione addotta per tale distinzione, d’altra parte, era puramente pragmatica: mediante la separazione della loro area di lavoro, i gerontologi speravano di erigere dei confini disciplinari che fossero favorevoli anche dal punto di vista dei finanziamenti. Questo fu ciò che fecero, soprattutto con la creazione del National Institute of Aging, operazione attuata, si dice, mentre il presidente Nixon era distratto da altre priorità. Fin qui, tutto bene. Anche se non proprio del tutto. I gerontologi sono perfettamente al corrente del fatto che non è un caso se le malattie correlate all’invecchiamento sono legate, appunto, proprio alla tarda età. Compaiono in età avanzata in quanto conseguenze dell’età o, in altre parole, perché invecchiare non è che un insieme dei primi stadi delle le malattie legate all’invecchiamento.
I gerontologi questo già lo sapevano. Pertanto, avrebbero anche dovuto prevedere che strombazzare la loro retorica a breve termine secondo cui “invecchiare non è una malattia”, a lungo termine si sarebbe dimostrato un vicolo cieco. La risposta dei politici, infatti, fu qualcosa di simile a: sì, d’accordo, non è una malattia, quindi perché dovremmo spendere dei soldi per combattere l’invecchiamento? Questo gioco è iniziato decenni fa e non accenna a cessare. I gerontologi di oggi sottolineano spesso che, se potessimo posporre l’invecchiamento anche solamente di poco, ci sarebbero da trarre dei benefici per la salute molto più considerevoli di quelli che si otterrebbero anche con le scoperte più importanti riguardo a malattie specifiche. I loro finanziatori, però, continuano a non recepire il messaggio. Credo che sia stata l’inadeguatezza della retorica dei gerontologi dei decenni passati ad aver contribuito a far sì che queste resistenze aprioristiche siano state superate da questa semplice, ovvia e universalmente riconosciuta (nel campo della biologia) verità: è necessario posporre l’invecchiamento (…).