La parola futuro è sempre più assente o svuotata di contenuto tra le persone che ne dovrebbero parlare, discutere e soprattutto alla quale dovrebbero pensare. Politici e amministratori la sfruttano per il suo potenziale attrattivo e la infilano nei propri programmi politici, qualcuno la introduce nel nome del proprio partito e qualcun altro la sfrutta per convincere i media. Ma il futuro è una parola comune che appartiene al popolo ed è qualcosa di più che una semplice parola: è il nostro presente, è ciò che progettiamo, quello per il quale ci svegliamo, è il nostro lavoro! Il futuro siamo noi nel momento in stesso in cui esistiamo, perché siamo il futuro di qualcun altro e di qualcos’altro che è stato prima di noi e che ancora sarà.
Siamo il futuro dell’Europa, che è stata pensata e costruita durante gli anni della Guerra Fredda e che si è evoluta facendo cadere mura e pregiudizi perseguendo un’ideale comune di unità, solidarietà e speranza.
Siamo il futuro dell’Europa che ha permesso a ognuno di noi di muoversi oltre i confini nazionali senza frontiere, che ha moltiplicato le possibilità di crescita economica dei nostri Stati, che ha potenziato la tutela dei diritti umani e fortificato le nostre democrazie.
Siamo il futuro dell’Europa che per secoli si è fatta la guerra sul campo di battaglia e che ora discute in un Parlamento, che ha partorito il colonialismo, il fascismo, il nazismo, il comunismo per poi sfociare nel più bell’esempio di risoluzione dei conflitti, che ci ha permesso di vincere il Premio Nobel per la Pace nel 2012.
Siamo il futuro di quell’Europa che già esiste nei nostri gesti e nei nostri comportamenti.
Purtroppo, le diversità linguistiche e identitarie, le disuguaglianze tra gli stati membri, la mancanza di un’unità bancaria, fiscale ed economica, la debolezza dello Stato Centrale e i suoi limiti sono allo stesso tempo l’effetto di una programmazione ed organizzazione troppo frettolosa e poco lungimirante ma anche la causa dell’immobilità europea, dell’euroscetticismo dilagante, dell’antieuropeismo difensivo che descrive la paura dei cittadini europei di fidarsi ancora dei propri rappresentanti ed amministratori; cosi lontani, sconosciuti e anonimi.
Il futuro dell’Europa era già scritto. Sarebbe dovuta diventare una federazione di Stati, con un Presidente europeo, un’unica politica estera, una polizia e un esercito comunitari più potenti e unificati rispetto all’Europol ed all’Eurojust, che di fatto hanno poteri limitati; una politica economica unitaria, un uguale sistema fiscale, un’unità bancaria ed una politica sociale forte e cooperativa. Il problema è che la sovranità non le è mai stata attribuita del tutto e l’Europa continua ad essere guardata e concepita dagli Stati-sovrani come un soggetto esterno, la causa di tutti i mali e allo stesso tempo il soggetto che se ne deve occupare, qualcosa che dovrebbe essere senza che nessuno si preoccupi di costruirla e rinforzarla. Si parla di costruzione dell’identità europea, eppure un’alta percentuale di europei non conosce il proprio inno comunitario; non esiste una festa europea che abbracci tutti i cittadini degli Stati membri nello stesso giorno al pari dei Santi Patroni (che non hanno fatto granché per questa Europa e non rispettano nemmeno le minoranze religiose); si stigmatizza la stampa ma non abbiamo un giornale dell’Unione; si discute sulla crisi della rappresentanza, eppure i partiti europei sono delle entità misconosciute che rappresentano semplicemente i membri del Parlamento europeo ma che non dialogano per niente con i partiti nazionali; non esiste una campagna elettorale comunitaria e ognuno può votare solo i rappresentanti dello Stato di appartenenza.
Il futuro dell’Europa non è poi così lontano, perché non si limita a essere un concetto puramente temporale, piuttosto comportamentale. Il futuro esiste nel momento in cui ognuno vive e lavora nel rispetto delle prossime generazioni, avendo una programmazione e una organizzazione a lungo termine.
Ci stanno provando i “Signori di Bruxelles” con diversi progetti dai risultati non sempre incoraggianti: la Commissione Europea ha invitato i cittadini europei a votare online 11 “visioni” del mondo tra 20-40 anni, con lo scopo di ottimizzare la pianificazione della ricerca e di indirizzare le politiche; per entrare in contatto con i cittadini europei, per capire e scoprire quali sono le loro curiosità e perplessità sono stati istituiti i “dialoghi con i cittadini”, serie di incontri nati per discutere dei loro diritti e di quello che si aspettano dall’UE, nonché per accettare proposte per il miglioramento e potenziamento dell’unione economica e monetaria; l’European Citizens’ Initiative, un’ottima idea per incentivare le iniziative popolari, che una volta giunte ad un milione di firme vengono sottoposte al vaglio della Commissione ma che di fatto non ha riscosso molta fiducia considerando che le proposte hanno avuto poca attenzione da parte della burocrazia comunitaria.
Di altra natura è stata la nascita, nel 2012, del “gruppo del futuro”, formato da 11 Ministri degli affari esteri (quelli di Germania, Belgio, Danimarca, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria, Spagna, Polonia, Portogallo e Francia) per portare avanti l’idea che l’Europa debba diventare una federazione, prendendo come esempio il modello americano. Il gruppo, che si è riunito l’ultima volta nel settembre 2012 a Varsavia, si pone l’obiettivo di consolidare l’unione economica e monetaria, di difendere i confini dell’Europa attraverso l’istituzione di una polizia comunitaria e di fortificare il ruolo della Commissione, sanzionando eventuali violazioni dei valori europei.
Forse i risultati ottenuti da queste iniziative non sono dei più brillanti, ma è questa la strada da intraprendere, quella dell’incontro e del confronto con i propri rappresentati, quello della partecipazione e dell’integrazione tra popoli spaesati e spaventati. Mentre l’Europa diventa sempre più reale e concreta, aumentano e si fortificano i populismi, i nazionalismi e ancor peggio, i regionalismi, che rimpiccioliscono i confini raccontando storie che allontanano sempre più Bruxelles da Modica.
Aumentare l’integrazione e la partecipazione sono i principali obiettivi, trasformare l’Unione Europea in Stati Uniti d’Europa è la meta, spronare i cittadini europei è un modo per attualizzarle, ma creare una politica europea è il primo passo; sensibilizzare i nostri amministratori, dai Sindaci ai parlamentari europei e convincerli che c’è bisogno di più Europa, nelle scuole, nelle Università, nelle aziende, negli stadi, nelle festività, in televisione, sui giornali e nei tg, nei sindacati e nei partiti, sugli scaffali del supermercati, nel quotidiano, è fondamentale.
mi piacerebbe tanto l’europa che esponi nel tuo articolo, 20 anni sono passati da quando ci hanno fatto entrare senza domandare al popolo (gregge per Monti)se eravamo favorevoli, che sicuramente dopo la ca…ta di Prodi:lavorerete meno e guadagnerete di più, sicuro no ma sarebbe stato un si. per ciò non sono ,(danno sempre la colpa a noi “gregge”)non siamo riusciti in 20 anni lasciamo perdere.ci penseranno le prossime generazioni se non succede il peggio, di cui credo che sarà nel programma.