La recente ondata di proteste che ha scosso l’Algeria ha riacceso i riflettori su una regione, quella Maghrebina, spesso e volentieri marginale nel racconto dei media globali. Su questo spazio del mondo, in genere, i riflettori si accendono solo quando vi sono eventi particolarmente turbolenti o sommosse di vario genere, come fu il caso ad esempio della Tunisia nel dicembre 2010. Da questo punto di vista, non è un caso che le recenti proteste algerine abbiano riacceso l’interesse per questo spazio. Ad ogni modo, ciò che sta succedendo in Algeria probabilmente sta anticipando quello che succederà nei prossimi anni nella regione: la fine delle élite storiche e l’arrivo al potere di nuovi gruppi politici e sociali; la crescente pressione – economica e sociale – di una gioventù più globalizzata, connessa col mondo e stanca di attendere il proprio turno, gioventù che inoltre rappresenta una significativa percentuale delle popolazioni di questi paesi; l’arrivo di vecchie (Russia) e nuove (Cina) potenze nell’equazione regionale, che affiancheranno i paesi Europei e i sempre più distanti – strategicamente parlando – Stati Uniti nel definire gli equilibri di una regione sempre più inquieta.
La crisi algerina
Agli inizi di febbraio 2019, l’ufficializzazione della decisione del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika di candidarsi per un quinto mandato ha innescato un rapido processo di maturazione di un malessere latente che covava da tempo nella società algerina. In poco meno di due settimane, le proteste hanno iniziato ad avere una risonanza a livello nazionale. Da questo punto di vista, è chiaro come era sempre più evidente che la stabilità di facciata algerina fosse diventata sempre meno sostenibile, in particolare per la sua popolazione più giovane. Dopo settimane di crescente malcontento, Bouteflika ha cercato di placare gli animi annunciando che non si sarebbe più candidato per un quinto mandato, posticipando il voto e invitando un governo provvisorio di unità nazionale a portare il paese a nuove elezioni, nel tentativo di guadagnare tempo per far fronte al crescente malcontento pubblico. Ovviamente questa decisione non è stata ben accolta dai manifestanti e molti di loro continueranno la loro mobilitazione. Sebbene Bouteflika, posticipando le elezioni, abbia di fatto prolungato il suo mandato, al tempo stesso questi eventi hanno accelerato la fine della sua presidenza, visto che il quinto mandato, su cui tutti gli attori più significativi della politica algerina avevano trovato un accordo, è venuto meno. Detto ciò, questi eventi non implicano necessariamente che un improvviso cambiamento sistemico sia in vista.
Di sicuro, però, mostrano l’esistenza di alcuni gruppi sociali molto determinati e svela l’esistenza di linee di faglia, generazionali, culturali e sociali che stanno trasformandosi in faglie politiche (Cristiani, 2019a). Ad oggi attiva nella sfera sociale, culturale e dei media, la gioventù algerina si sta trasformando in una forza politica, destinata a incidere sulla transizione in corso, iniziata nel 2014 con l’elezione di Bouteflika a un quarto mandato e lo smantellamento del potente Dipartimento dell’intelligence e della sicurezza (Département du Renseignement et de la Sécurité-DRS) (Cristiani, 2014). Questa transizione ha visto il graduale ritorno della centralità politica dell’esercito, incarnato dal suo leader, Ahmed Gaïd Salah. Colui che Jeune Afrique ha definito ‘l’arbitro’ del sistema algerino (Alilat, 2019), è ora il centro del sistema politico informale (e opaco) algerino. In un certo senso, tale sviluppo suggerisce un progressivo ritorno della centralità politica dell’esercito, in quello che potrebbe essere considerato un graduale ritorno di ciò che è noto nella storia algerina come l’Hidjâb civile, il “Velo” del potere civile che copre la centralità dei militari (Yefsah, 1995). Bouteflika in lizza per un quinto mandato, nonostante i suoi chiari problemi di salute, era funzionale a mantenere in piedi questo sistema emergente. I gruppi dietro le proteste diventeranno sempre più centrali nelle dinamiche politiche algerine, qualora possano diventare un’alternativa e spronare il cambiamento sistemico nell’immediato è però molto più problematico. Le divisioni generazionali, all’interno della società e dell’esercito, saranno la forza trainante della politica algerina nei prossimi anni, e di sicuro le élite algerine subiranno un profondo mutamento, visto che la generazione del ‘54 – coloro che traevano la loro legittimità dalla lotta anticoloniale contro i francesi – esaurirà il suo ruolo, e nuovi gruppi politici e sociali emergeranno alla testa del paese nei prossimi cinque anni (Cristiani, 2019b).