Il concetto di eterna giovinezza evoca in molti l’immagine di una società composta per lo più da ventenni ed, eventualmente, bambini. I bambini sono “eventuali”, perché l’eterna giovinezza è spesso associata all’idea di immortalità terrena. Si presume che la sconfitta dell’invecchiamento porti con sé anche la sconfitta della morte. Se non si muore più, a meno che non vengano costruite colonie spaziali ove migrare, verrebbe meno non solo la necessità ma anche l’opportunità di riprodursi. L’idea che miliardi di persone giovani e fertili possano riprodursi incessantemente in uno spazio limitato come il pianeta Terra diventa ipso facto presagio di un mondo futuro caratterizzato da sovraffollamento, inquinamento, feroce lotta per le risorse. Un destino evitabile, ma a prezzo di uno scenario ancora più cupo: quello di un governo mondiale dispotico che metta in atto un rigido controllo delle nascite, soffocando il più naturale degli istinti, quello procreativo, e il più sincero dei sentimenti, l’amore materno e paterno. Insomma, si parte da un’utopia per sprofondare immediatamente nelle distopie più inquietanti.
Per capire che cosa sta davvero accadendo e che cosa plausibilmente accadrà nei prossimi decenni, bisogna innanzitutto sgomberare il campo da queste speculazioni. Nei laboratori biomedici stanno davvero accadendo cose straordinarie, ma le scoperte di cui rendono conto le riviste scientifiche vengono sistematicamente ingigantite dalla stampa popolare, un po’ per sensazionalismo, un po’ perché i giornalisti non sono sempre in grado di comprendere e comunicare correttamente le modalità, i risultati e la portata degli esperimenti scientifici di cui scrivono.
Gli studi del futuro hanno sempre inevitabilmente una componente speculativa, ma quelli più accurati sono nondimeno basati su precise metodologie (Bell, 2009). Per elaborare delle estrapolazioni attendibili è necessario fare attenzione da un lato alle fonti da cui si ricavano i dati relativi al presente e dall’altro al contesto sociale in cui viviamo e in cui presumibilmente ancora vivremo tra qualche anno. Detto più chiaramente, se vogliamo farci un’idea del possibile impatto sociale di una nuova tecnologia, dobbiamo fare riferimento alle informazioni che troviamo sulle riviste scientifiche, più che alle notizie propalate da rotocalchi e quotidiani, e dobbiamo mettere sul piatto della bilancia anche conoscenze sociologiche relative ad aspetti della società che presumiamo invarianti, o perlomeno stabili, nell’immediato futuro.
Se si entra in quest’ottica, ci si rende conto che una società globale composta unicamente da ventenni non è uno scenario realistico, nei prossimi decenni, neppure se venisse scoperto oggi stesso l’elisir di eterna giovinezza. Seppur in modo frammentario, in questo articolo vogliamo presentare lo stato dell’arte nel campo della medicina anti-aging proponendo qualche riflessione sul rapporto tra scienza e società nel presente e nel futuro prossimo.
Prima di avventurarci in questa direzione, dobbiamo però fare chiarezza sul concetto stesso di medicina anti-aging. Le lancette dell’orologio biologico possono essere rallentate, fermate o fatte girare al contrario. Nell’ultimo caso si può parlare propriamente di ringiovanimento. Il ringiovanimento può riguardare un singolo organo, un gruppo di organi o l’intero organismo. Conseguire il ringiovanimento di un intero organismo o la stabilizzazione dell’età biologica non implica – ma questo è piuttosto ovvio – avere conseguito l’immortalità terrena. Si può restare stabilmente giovani per decenni, o magari per secoli, e poi morire in un banale incidente stradale.
Ci sono diversi filoni di ricerca nel campo della lotta all’invecchiamento che appaiono piuttosto incoraggianti. Per quanto riguarda il semplice rallentamento del naturale processo di invecchiamento, sono da tempo in circolazione rimedi più o meno efficaci (Crowley e Lodge, 2013). Ci vengono proposti integratori alimentari, diete mirate, digiuni rigeneranti, cosmetici (es. creme antirughe), massaggi, saune, prodotti per l’igiene e la pulizia del corpo, programmi di esercizio fisico, stile di vita non logorante, innesti di protesi dentarie, lozioni o stimolazioni laser contro la caduta dei capelli, trapianti di cuoio capelluto, iniezioni di botulino, chirurgia plastica, ecc. Questi trattamenti danno risultati soprattutto sul piano estetico, ma è evidente che, quando si invoca un concetto come quello di “eterna giovinezza”, ci si aspetta qualcosa di più spettacolare di ciò che, già oggi, si può acquistare al supermercato o in farmacia.
Al contrario di ciò che generalmente si pensa, il rallentamento, il blocco e l’inversione dei processi di invecchiamento, di singoli organi come di interi organismi, di cavie animali come di esseri umani, sono risultati che sono già stati presentati nella letteratura scientifica. Perché, allora, riteniamo implausibile lo scenario di una società di soli giovani in tempi stretti? Per capirlo, bisogna andare più a fondo, tanto nelle questioni tecnico-scientifiche, quanto in quelle politico-sociali.
Medicina rigenerativa 2.0
Se si parla di fermare o addirittura invertire il processo di senescenza, un primo filone di ricerca ritenuto molto promettente è quello della medicina rigenerativa. L’idea di base è quella di rigenerare organi e tessuti attraverso l’infusione di cellule staminali riprogrammate. Su questo tema abbiamo già scritto abbondantemente in passato e, per approfondimenti, rimandiamo a quei lavori (Campa, 2017a, 2017b). Qui ci limitiamo ad aggiungere che, dopo l’invenzione del sistema CRISPR/Cas-9, che consente di riprogrammare il DNA come se fosse un software, si è entrati in una nuova fase della medicina rigenerativa (Li et al., 2018). Per fare un primo esempio, un gruppo di ricercatori guidati da Ergin Beyret (2019) ha dimostrato che la terapia CRISPR/Cas9 può sopprimere l’invecchiamento, migliorare la salute e prolungare la durata della vita nei topi. Più in dettaglio, gli studiosi hanno messo a punto una nuova terapia genica in grado di sopprimere l’invecchiamento accelerato osservato nei topi con sindrome di progeria di Hutchinson-Gilford, una rara malattia genetica che colpisce anche l’uomo. La speranza è di potere utilizzare queste conoscenze per intervenire in futuro sul processo di senescenza degli organismi umani.
Molti progetti della medicina rigenerativa 2.0 sono incentrati sulla rigenerazione di singoli organi e tessuti. Per fare un altro esempio, l’uso combinato delle nuove tecnologie di editing genetico e dell’infusione di cellule staminali riprogrammate è stato applicato con successo alla rigenerazione delle ossa del cranio (Truong et al., 2019). Per quanto riguarda le prospettive, nell’immediato futuro si pensa all’uso delle staminali mesenchimali per la rigenerazione dei denti. Un team di biologi cinesi ha rimarcato che «una serie di ricerche di base, studi preclinici e studi clinici hanno confermato che le cellule staminali dentali migliorano efficacemente la formazione di strutture specialistiche dentali e la guarigione delle malattie paradontali, suggerendo un alto grado di utilizzabilità in prospettiva di questi approcci nella medicina traslazionale della rigenerazione dentale» (Shuai et al., 2018).
Rigenerare l’intero organismo, quand’anche pezzo a pezzo, è l’obiettivo su cui convergono gli sforzi di migliaia di ricercatori in tutto il mondo. I progressi in questo campo diverranno evidenti quando la medicina rigenerativa verrà applicata con successo alla riparazione delle parti visibili del corpo, in particolare denti, capelli, pelle e muscoli. Un ottuagenario con gli organi interni ed esterni del corpo completamente rigenerati, sul piano funzionale ed estetico, sarebbe de facto un giovane. Nuove tecniche di rigenerazione della pelle vengono studiate da anni, al fine di sostituire i tradizionali interventi di chirurgia plastica. Il libro Skin Tissue Engineering and Regenerative Medicine, di Mohammad Z. Albanna e James H. Holmes IV (2016), presenta lo stato dell’arte in questo campo di ricerca. Essendo stato pubblicato nel 2016, il volume non include le novità degli ultimi anni e, in un settore in fermento come quello della medicina rigenerativa, quattro anni sono davvero tanti. Tuttavia, in questo contesto ci interessa l’idea di fondo. Gli autori partono dal principio che la pelle è il più grande sistema di organi umani e che «la perdita di integrità della pelle a causa di lesioni o malattie provoca uno squilibrio fisiologico sostanziale e, infine, una grave disabilità o la morte». Si pensi alle vittime di ustioni o di gravi lesioni. L’ingegneria dei tessuti della pelle e la medicina rigenerativa nascono, dunque, con uno scopo terapeutico. Sono pensate per affrontare patologie, malattie, disabilità. Gli autori chiariscono che «l’ingegneria del tessuto cutaneo e la medicina rigenerativa forniscono un collegamento traslazionale per i ricercatori biomedici in tutti i campi per comprendere gli approcci interdisciplinari che hanno ampliato le terapie disponibili per i pazienti e una collaborazione di ricerca aggiuntiva» e ancora sottolineano che il loro lavoro «espande la letteratura primaria sullo stato dell’arte delle terapie cellulari e dei biomateriali per rivedere le terapie chirurgiche più utilizzate per gli specifici scenari clinici».
Tuttavia, non è difficile comprendere che questi trattamenti, una volta perfezionati, non resterebbero confinati al campo clinico e terapeutico. In linea di principio, possono infatti essere utilizzati per combattere la senescenza dei tessuti epiteliali, ovvero per rigenerare la cute e l’epidermide di individui anziani. Del resto, la stessa senescenza può essere vista come una malattia, ma su questo torneremo più avanti.