Gli anni che stiamo vivendo segnano senza dubbio un periodo di profondo cambiamento nella storia dell’Europa e del Mediterraneo, sia dal punto di vista geopolitico – essendo in corso un processo di risistemazione più o meno violenta delle aree di influenza geopolitiche – che dal punto di vista demografico, con un aumento esponenziale dei flussi migratori verso e attraverso l’Europa. L’instabilità diffusa nell’area nord-africana e nel Vicino Oriente ha generato flussi di rifugiati in cerca di salvezza e stabilità in Europa, e che sono disposti a rischiare tutto per arrivare. Questi flussi, per quanto siano solo percentuali ridotte rispetto alla popolazione europea, avranno sicuramente influssi determinanti nello sviluppo futuro dell’Unione Europea: per adesso hanno principalmente effetti politici e giuridici, in quanto stanno mettendo a dura prova il sistema di accoglienza e solidarietà dell’Unione, ma sul lungo periodo ne influenzeranno lo sviluppo anche in altri campi.
Per avere un quadro più ampio della situazione abbiamo deciso di parlarne con Philippe Legrain, politologo ed economista britannico, consigliere dell’ex presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, e autore tra l’altro di titoli influenti e controversi come Open World: The Truth About Globalisation (2002) e Immigrants: Your Country Needs Them (2007). Le sue tesi sulla necessità di un mondo senza frontiere e sull’importanza dei migranti per l’economia europea devono oggi scontrarsi con una realtà molto difficile, e abbiamo perciò cercato di capire se il mutato quadro politico potrebbe costringere in prospettiva a una revisione delle sue posizioni.
L’Unione Europea sta affrontando in questi mesi un’emergenza di proporzioni fino a pochi anni prima inimmaginabile, relativamente all’enorme affluenza di rifugiati da aree di crisi come la Siria, e in generale di centinaia di migliaia di migranti dai paesi africani. Come giudica la risposta finora data dall’Unione Europea a questo nuovo, drammatico scenario?
Dall’inizio dell’anno sono entrate clandestinamente 630.000 persone nel territorio dell’Unione Europea (710.000 al momento di mandare in stampa questo numero, N.d.R). Un numero decisamente maggiore alle 240.000 che sono arrivate nel 2014, ma resta solo lo 0,12% della popolazione dell’UE. L’Europa non sta venendo invasa. Anzi, la sola Turchia ospita un numero di rifugiati superiore all’intera Unione Europea e non è ancora collassata. La risposta dell’Unione Europea alla crisi dei rifugiati è stata un macello. Poiché è impossibile entrare legalmente e in modo sicuro nel territorio dell’UE, l’accesso al territorio dell’Unione Europea è stato, di fatto, esternalizzato a bande di criminali con un rispetto minimo per la vita umana. Per quanto il sottofinanziato programma UE di ricerca e soccorso nel Mediterraneo salvi molte vite, ancora troppi continuano a morire. Aylan Kurdi, il bambino siriano annegato e ritrovato su una spiaggia turca, è uno dei 2.887 morti contati quest’anno (fino al 1° ottobre).
Le regole dell’Unione Europea che stabiliscono che il diritto d’asilo debba essere garantito ai rifugiati dal primo Paese che raggiungono dell’Unione Europea si sono dimostrate inique ed inutili; siccome la maggior parte dei richiedenti asilo arrivano in Europa meridionale e vogliono andare verso nord, Grecia e Italia ignorano le regole e facilitano il loro passaggio. Anche se è lodevole la sospensione di queste regole da parte della Germania e l’impegno, da parte del governo tedesco, ad accogliere tutti i rifugiati siriani, né la Germania né le autorità europee offrono loro un passaggio sicuro attraverso le frontiere dell’Unione. Ora c’è la barriera di filo spinato ungherese sulla loro strada, mentre la Germania ha reintrodotto i controlli di frontiera, spingendo i Paesi vicini a fare altrettanto, riducendo a brandelli l’Accordo di Schengen. La Germania ha anche convinto con le maniere forti i governi europei recalcitranti ad accettare il piano della Commissione Europea per ridistribuire 120.000 rifugiati tra i vari Paesi membri, oltre ai 40.000 da distribuire su base volontaria. In ogni caso questo non farà una grande differenza: circa 130.000 persone sono entrate in UE clandestinamente solo nel mese di settembre.
Anche il piano di reinsediamento presenta difetti. Se, per esempio, si costringe il governo slovacco, pericolosamente nazionalista, ad accettare dei rifugiati, quanto si sentiranno i benvenuti? E cosa si può fare per evitare che vadano altrove? L’Unione Europea è ancora lontana da un’effettiva risposta comune.