Al di là della speculazione tipica dell’ambito fantascientifico, l’interesse per la futura presenza permanente dell’Umanità sulla superficie lunare non è affatto un esercizio sterile e ozioso. È anzi, oggi, non solo perfettamente lecita e legittima la capacità di ideare e progettare, ma potremmo dire che è addirittura impellente. La visione di chi si approccia al problema della progettazione di insediamenti umani di larga scala (almeno al disopra dei 1.000 abitanti) non può, e non deve, essere confinata in uno scorcio temporale ristretto (un decennio), ma bisogna gettare lo sguardo oltre e raggiungere le quattro o cinque decadi. In questo articolo saranno delineate una serie di tematiche, interdipendenti tra loro e tutte funzionali alla realizzazione e al sostentamento di un insediamento lunare per almeno 1.000 persone.
I cicli di trasporto
Benché a oggi non esista ancora un sistema di trasporto lunare (al di là delle missioni Apollo negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso), è necessario postulare un sistema multimodo e modulare di trasporto lunare affidabile, probabilmente basato su mezzi di tipo commerciale (il che non esclude la presenza di agenzie ed enti militari). Estrapolando l’attuale scenario tecnologico, è lecito dire che nei prossimi quarant’anni (e oltre) lo scenario di trasporto nello spazio circumterrestre e fino alla Luna potrebbe essere composto di veicoli attualmente in fase di collaudo o studio avanzato.
Considerando che l’aspettativa odierna circa la vita operativa di un velivolo da trasporto civile si attesta entro i cinquant’anni (è così, ad esempio, per i Boeing 737 e 747), è lecito supporre che i veicoli SpaceX Starship e NASA Artemis /Orion, così come altri in fase avanzata di progettazione, saranno ancora operativi entro le 4-5 decadi a partire da oggi. Proprio come un Boeing 737, la Starship avrà la capacità di trasportare almeno 150 passeggeri in orbita bassa fino a una stazione di scambio (la Stazione Spaziale Internazionale o altre a venire) oppure direttamente verso il Lunar Gateway, che è lecito supporre essere ancora operativo tra quattro decadi.
Una volta arrivati in orbita bassa (LEO, Low Earth Orbit), è lecito attendersi una stazione di scambio nella quale i passeggeri saranno sbarcati dalla Starship (destinata a rientrare subito a terra) e trasferiti verso un altro mezzo: il Lunar Cycler. Ipotizzato per la prima volta dall’astronauta Edwin “Buzz” Aldrin (membro dell’equipaggio Apollo 11 e secondo astronauta a posarsi sulla Luna dopo Neil Armstrong), il Lunar Cycler è un veicolo spaziale destinato a muoversi ciclicamente avanti e indietro (da qui il suo nome) tra l’orbita bassa terrestre e quella lunare (oppure un punto langrangiano dove si troverà il futuro Lunar Gateway).
Considerando il rinnovato interesse, da parte di tutti gli “attori” sulla scena spaziale, per la propulsione atomica, è lecito attendersi che il Lunar Cycler sia propulso da un motore nucleare (più probabilmente a fissione), il cui funzionamento prevede una massa di reazione (tipicamente idrogeno liquido) fatta passare all’interno del nocciolo del reattore e riscaldata e dunque accelerata verso l’ugello di scarico. Il Lunar Cycler è concepito per creare un cosiddetto “ciclo di trasporto”, ovvero un circolo virtuoso in cui il mezzo che si muove avanti e indietro effettua le due tratte sempre pieno di carico pagante (passeggeri e/o merci e/o materiali grezzi o semilavorati) in maniera tale da rendere economicamente conveniente il trasporto lunare.
Ancora una volta, grazie ai programmi attualmente in corso – in particolare l’Artemis della NASA – è lecito ipotizzare che almeno uno dei tre lander selezionati e attualmente in fase di sviluppo sia ancora in servizio nei prossimi quarant’anni, questo senza ovviamente contare l’avvento sulla scena lunare di altri possibili (e molto probabili) “competitors” come Cina, Russia, India e/o altri soggetti privati.
Il sito produttivo
Adesso che passeggeri e merci sono arrivati sulla superficie lunare incontriamo, per prima cosa, la raison d’etre dell’insediamento lunare, ovvero il sito produttivo.
Al momento è difficile estrapolare (per non dire “predire”) cosa davvero si potrà o meno produrre sulla superficie lunare. In prima istanza è lecito ipotizzare, sulla base dei dati ricavati dalle missioni Apollo, nonché dalle sonde lanciate nelle ultime due decadi, che la maggior risorsa lunare sia la presenza di abbondanti minerali di uso commerciale, in primis l’alluminio. Dunque un primo sito produttivo lunare potrebbe essere una miniera a cielo aperto con uno scavo a terrazze che parta dal livello della superficie a scendere. Non si tratterà, evidentemente, di una miniera “classica” nel senso terrestre e letterale del termine, ma di un insediamento altamente automatizzato equipaggiato con robot a elevata autonomia e droni che consentiranno agli operatori umani, presenti nell’insediamento abitato, di operare attività di manutenzione e update del sito in totale sicurezza e con tempi di reazione istantanei (considerando i pochi chilometri di distanza dell’insediamento abitativo rispetto ai 300.000 chilometri di distanza della Terra, dove il ritardo nelle comunicazioni supera il secondo).
L’elevata automazione sarà necessaria per molteplici ragioni, alcune facilmente intuibili, altre legate alle peculiari condizioni ambientali della Luna, laddove la mancanza di un campo magnetico (come le fasce di Van Allen terrestri) consente alla radiazione solare di arrivare indisturbata alla superficie. Premesso ciò, sembra legittimo immaginare che il sito produttivo, grazie alla sua elevata automazione e autonomia, non sia schermato alle radiazioni per ragioni di costo.
Ascensore oppure elevatore?
Se immaginiamo una miniera o un sito estrattivo, si pone immediatamente un problema: i minerali e le risorse estratte saranno trattate direttamente in situ? La risposta potrebbe anche essere negativa, nel senso che potrebbe essere più conveniente o più produttivo effettuare il trattamento e la produzione direttamente in orbita lunare bassa in un sito in condizioni di microgravità.
Questa risposta implica un’altra domanda: come trasferire il materiale estratto dalla superficie lunare al sito produttivo? Per ragioni di costo, bisogna scartare i mezzi con cui si muovono i passeggeri. Negli anni Settanta del secolo scorso il fisico di Princeton Gerard K O’Neill propose un sistema basato sull’accelerazione lineare (a mezzo superconduttori) per “sparare” in orbita lunare bassa i materiali estratti. Tale tecnica è però molto onerosa dal punto di vista delle infrastrutture da realizzare (l’acceleratore lineare deve essere molto lungo per raggiungere le velocità terminali necessarie) e richiede delle tempistiche di rendez-vous, con le navette che aspettano in orbita, molto strette e poco realistiche.
Una possibile soluzione alternativa potrebbe venire da un altro avveniristico sistema proposto nel corso degli anni: l’ascensore spaziale. Ovvero un sistema che prevede un lunghissimo cavo, ad alta densità e ridotto diametro (meglio ancora un fascio di cavi), che salga dalla superficie fino a raggiungere un punto ad altitudine fissa, per la precisione un punto “geostazionario” posto convenzionalmente a 36.000 chilometri di distanza.
Sulla Terra, però, tale sistema presenta dei problemi tecnici irrisolvibili legati alla elevata velocità di rotazione angolare del nostro pianeta e alla presenza della resistenza atmosferica nel tratto terminale del cavo. Nel caso della Luna, tutti questi problemi non esisterebbero: la Luna ha una gravità circa un sesto di quella terrestre, una bassissima velocità angolare legata alla rotazione intorno al proprio asse (28 giorni rispetto alle circa 24 ore terrestri) e non dispone di atmosfera.
Premesso ciò, quanto deve essere lungo il cavo? Facendo due conti si ottiene che il cavo dovrebbe essere lungo all’incirca 52.700 km, valore alquanto più elevato rispetto ai 36.000 km della Terra. A questo punto vale la pena porsi chiedersi se sia davvero necessario percorrere una distanza tanto ragguardevole per portare i materiali estratti dalla Luna. Si potrebbe piuttosto optare per un’altra soluzione: un elevatore a torre. Considerando che è possibile avere delle orbite metastabili intorno alla Luna anche a quote estremamente basse – diciamo intorno ai 30 km di altitudine –, piuttosto che elevare il carico per cinquantamila e passa chilometri fino al punto selenostazionario basterebbe realizzare una torre alta 25 ~ 30 chilometri dove un veicolo automatico potrebbe effettuare un rendez-vous con una manovra di azzeramento della velocità e aggancio, complessa ma non impossibile.
Il sito abitativo
Il sito abitativo dovrà necessariamente sorgere nei pressi di quello produttivo, non adiacente ma sufficientemente vicino da poter essere fisicamente raggiunto a mezzo di un’attività extra veicolare da parte di personale umano. Come sarà il sito abitativo? Quale sarà la sua urbanistica (prima ancora della sua architettura)?
Il sito dovrà essere necessariamente ottenuto a mezzo di uno scavo per interrarne la maggior parte per ovviare al problema delle radiazioni. La struttura avrà una forma circolare per ottimizzare al meglio lo spazio (probabilmente quello delimitato da un cratere nel quale sia disponibile acqua sotto forma di ghiaccio), dovrà essere modulare e multi-livellare con un toro completamente interrato che rappresenta il livello di trasporto e logistico, su cui vanno a innestarsi una serie di cilindri abitativi interconnessi dal toro al cui centro è posizionato un grosso cilindro polifunzionale.
Il sito potrebbe essere realizzato sfruttando il cosiddetto lunacrete o “cemento lunare”, ottenuto semplicemente mescolando acqua e regolite: prove a terra condotte negli anni successivi alle missioni Apollo (e anche grazie alla mezza tonnellata di campioni riportati a terra) hanno suggerito come sia possibile ottenere dell’ottimo cemento. Il lunacrete sarebbe paragonabile, in termini di resistenza, al calcestruzzo armato sulla Terra.
I vantaggi di un possibile utilizzo del lunacrete sono molteplici: è semplice da implementare (basta spruzzare una soluzione di acqua e regolite) e resistente; consentirebbe l’utilizzo di stampanti 3D; può essere utilizzato per realizzare forme anche complesse, pur sempre pressurizzate, grazie allo spessore delle mura, cosa che permetterebbe di svincolarsi dalle classiche forme pressurizzate tipo “lattine” e “tori” imposti dai limiti progettuali nell’uso delle leghe di alluminio; infine, si tratterebbe di un materiale completamente reperibile in situ data la presenza di acqua sulla Luna
Conclusioni
In conclusione, alla domanda “come vivranno tra 4 o 5 decadi le persone sulla Luna?”, la risposta non può essere che se ci vivranno (la Storia è una dura maestra in tal senso, basti ricordare il periodo di delusione “post-Apollo”), è possibile intravedere oggi quelle che saranno le linee guida per la realizzazione di insediamenti abitativi e produttivi allo stesso tempo. Non è corretto e nemmeno conveniente addentrarsi in dettagli che potrebbero risultare sbagliati oppure (peggio) datati, magari dopo poco tempo. Se l’umanità troverà conveniente insediarsi sulla Luna, lo farà e anche più rapidamente di quanto possiamo immaginare oggi, semplicemente perché le tecnologie per farlo sono disponibili già oggi (e forse lo erano anche ieri): ciò che occorre è la volontà di farlo e la capacità politica ed economica per realizzarlo. Esattamente in questo momento, gli Stati Uniti e soprattutto SpaceX sembrano avere le carte in regola per raggiungere questo ambizioso obiettivo, ma anche altri attori (in primis la Cina) sono pronti sulla linea di partenza. Non sarà una gara e forse nemmeno una corsa come cinquanta e passa anni fa: sarà forse qualcosa di diverso e anche di nuovo.
Interessante. L’articolo corrobora la mia idea che il nucleare avrà un ruolo primario se si vuole colonizzare lo spazio, sia per il trasporto (Impuso specifico doppio rispetto a quella chimica) sia per rendere disponibili alle macchine l’energia richiesta.