Negli ultimi anni si è registrata una sempre più crescente attenzione verso il cibo di qualità e l’agricoltura bio. L’attenzione posta dai media italiani e internazionali su questi temi è solo l’effetto di una rinnovata attenzione verso questo settore. Le cause sono diverse e tutte concorrono alla creazione di un nuovo approccio verso il cibo. Dai fattori macro come i cambiamenti climatici all’aumento della popolazione mondiale, a quelle micro come la salvaguardia della biodiversità e delle comunità locali, l’agricoltura e il cibo tornano ad essere un tema centrale nelle agende dei governi.
Questo anche perché l’impatto delle azioni dell’uomo sull’ecosistema ambientale mondiale stanno scatenando delle conseguenze che diventano sempre più ingestibili. Il modello di sviluppo occidentale e l’incapacità dei governi nel mettere in pratica concrete azioni di sviluppo sostenibile sta compromettendo la possibilità di sopravvivenza di una sempre più crescente fetta della popolazione mondiale. Non solo a causa della fame, ma anche per i cambiamenti climatici che spingono numerose popolazioni a spostarsi, ipotizzando la nascita dello status di rifugiati ambientali. L’importanza e l’urgenza di questi temi ha coinvolto recentemente anche il pontefice Papa Francesco che nella sua enciclica Laudato Si’ (2015) ha ricordato la necessità di adottare un approccio olistico per la cura della “nostra casa comune”. L’Agenda per lo Sviluppo sostenibile 2030 presentata all’ONU lo scorso settembre e frutto di due anni di negoziati dei governi mondiali, infatti, individua 17 obiettivi che definiscono uno scenario di intervento complesso e correlato. Il secondo di questi obiettivi, subito dietro quello dell’eradicazione della povertà globale, è denominato “fame zero” e mira a «porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile» (cfr. Lartey, 2015).
Il cibo, quindi, deve ritornare ad essere una fonte di nutrimento sana e accessibile per sottrarsi al suo status di merce su cui speculare e trarre profitto. Oggi quasi un miliardo di persone soffre la fame mentre due miliardi sono quelle che soffrono patologie connesse alla presenza di sostanze tossiche negli alimenti o per l’assunzione di cibi ipercalorici. Il problema quindi non è solo produrre più cibo in vista di un aumento della popolazione mondiale che nel 2050 raggiungerà i 10 miliardi (Weisman, 2014), ma, e soprattutto, una redistribuzione equa delle risorse. Per dirla con Vandana Shiva (2009), «il cibo e l’agricoltura sono diventati il terreno su cui si combattono importanti guerre tra due paradigmi… Il paradigma dominante è quello dell’industria e della meccanizzazione, che ha portato alla crisi i nostri sistemi alimentari e agricoli… C’è però un nuovo paradigma emergente, che vuole mantenere la continuità con l’antico e saggio sistema di collaborazione con la natura che si fonda sulla Legge della Restituzione».
Secondo la FAO, il modello di agricoltura industriale ha intaccato il 70% delle risorse idriche del pianeta e allo stesso modo l’ONU, già nel 1995, dichiarava che la Rivoluzione Verde aveva causato l’estinzione di oltre il 75% dell’agro-biodiversità (Perkins, 1997).
Il modello contemporaneo agroindustriale ha già compromesso in parte le risorse planetarie, come dimostrano i dati. La produzione di cibo non contaminato quindi non riguarda solo il “mangiar sano” ma concerne l’occuparsi delle basi della vita stessa, umana e ambientale. Se, come descrive lo studio di Fondazione Symbola (2014) sull’agroalimentare Made in Italy, la produzione agricola «nel futuro, sarà prevalentemente composta da imprese moderne e flessibili, dove il connubio tra tradizione, cultura agricola, conoscenza culinaria e innovazione sarà elevatissimo, con riflessi in termini di contenuto qualitativo ancor più marcati rispetto agli attuali», dobbiamo essere capaci di limitare il modello agroindustriale per supportare invece il modello di produzione agro-ecologico.
Cosi come recita il Manifesto della Rural Social Innovation, dobbiamo superare il modello della classica value chain che vede il prodotto alimentare come un mero escamotage che mette in moto altri meccanismi che generano ricchezza come la logistica, il branding e la finanza, e rimettere la produzione di cibo di qualità al centro di tutta la filiera avendo la coscienza e conoscenza delle relazioni ecologiche attivate:
il Rural Social Innovation System sovverte la catena convenzionale e mette al centro il prodotto, in un rapporto di osmosi con la comunità̀, che non è più̀ un target ma parte attiva del processo. Se il prodotto diviene leva di una nuova dinamica comunitaria in grado di valorizzare il patrimonio immateriale, l’agricoltura diviene un’opportunità̀ di condivisione e trasmissione della cultura e della tradizione, non più solo lo strumento per la mera produzione alimentare. L’intento complessivo è mettere a frutto le potenzialità̀ e le peculiarità̀ del settore primario per conciliare il recupero di un’etica comunitaria, la ricerca delle proprie radici, il recupero di certi valori con l’innovazione (Giordano e Ardvisson, 2014)
Per realizzare questo processo è però necessario guardare oltre la produzione di discorso sul tema del buon cibo fatta dai media, che incentivando una certa narrativa del “ritorno alla terra” prospettano una traiettoria di vita, dal punto di vista dei desideri attesi e dei ritorni economici, diversa dallo stato attuale dell’agricoltura italiana. Difatti, i saldi occupazionali del settore tra il 2008 e il 2013 sono stati negativi, con un calo del -6% per gli under 40 che raddoppia per gli under 24 (-14%). Allo stesso tempo l’indice di ricambio generazionale del nostro paese è il più basso d’Europa (cfr. Nomisma, 2014). Nonostante ciò, secondo il report dell’INEA-Istituto Nazionale per l’Economia Agraria, si può parlare di un ritorno alla terra dei giovani: «A stupire non è solo il loro ingresso ma la naturale capacità di mostrarsi più̀ aperti all’adozione di strategie innovative ponendo particolare attenzione alla qualità̀ dell’offerta produttiva, alla tutela dell’ambiente e ai fabbisogni del territorio contribuendo così al miglioramento delle condizioni di vita e della vitalità socio economica dei contesti rurali e agricoli» (Ascione et al., 2014).
Nelle periferie dell’impero agroindustriale si sta muovendo una scena fatta di tantissimi giovani piccoli agricoltori che in diverse forme, tempi e modi stanno cercando di superare le aberrazioni di un modello agroindustriale che trasforma la qualità di un cibo in potere. Questo accade quando vi è uno squilibrio della distribuzione delle risorse e il cibo si trasforma in merce eliminando completamente tutto il suo portato sociale, culturale e ambientale. I giovani che in Italia e nel resto del mondo stanno tornando alla terra, sembra lo stiano facendo con una consapevolezza diversa. Propongono un modello agroecologico, sostenibile, un modello che chiaramente è l’unico sostenibile, che si pone fuori dalle logiche di mercato. Anche qui è necessario fare attenzione alla colonizzazione semantica che sta avvenendo da parte delle grandi corporations. Ciò che sta avvenendo infatti è una lenta ma radicale ri-significazione delle parole al fine di innescare processi di brandizzazione e accumulazione del capitale da parte delle grandi corporations, anche e soprattutto attraverso il marketing.
È necessario essere consapevoli in quale scenario ci stiamo muovendo per poter costruire un’alternativa reale che, secondo Gill Seyfang, passa per cinque dimensioni: puntare sulla localizzazione, ridurre l’impatto ambientale, costruire comunità, creare azione collettiva e costruire nuove infrastrutture di approvvigionamento. Lo scopo non è sempre quello di opporsi ciecamente al mercato, ma di costruire forme autonome dal basso sulla base di una sinergia tra i metodi di produzione e di consumo etico.
Per approfondire:
- Ascione E., Tarangioli S. e Zanetti B. (a cura di), Nuova imprenditoria per l’agricoltura italiana, Istituto Nazionale di Economia Agraria, 2014.
- Briganti R. e Gatto A., Agribusiness e alimentazione: prospettive per il lavoro e lo sviluppo economico nel mondo, in “Futuri”, n. 5, maggio 2015.
- Fondazione Symbola, ITALIA – Geografie del nuovo Made in Italy, 30 novembre 2014: http://www.symbola.net/html/article/ITALIA.
- Francesco (Jorge Mario Bergoglio), Laudato si’. Lettera enciclica sulla cura della casa comune, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2015.
- Giordano A. e Ardvisson A. (a cura di), Il manifesto della “Rural Social Innovation”, Rural Hub, 2014: http://www.ruralhub.it/manifesto-rural-social-innovation/.
- Lartey A., Creare nuovi percorsi per i sistemi di nutrizione, agricoltura e alimentazione, UNRIC (United Nations Regional Information Center), 2015: http://www.unric.org/it/global-action-2015.
- Nomisma, I giovani, tra “ritorno alla terra” e “fuga dalle campagne”, 11 novembre 2014.
- Perkins J.H., Geopolitics and Green Revolution, Oxford University Press, Oxford, 1997.
- Porpiglia D., Cambiamenti climatici e poveri del mondo, in “Futuri”, n. 2, maggio 2014.
- Porpiglia D., 2100: un mondo sovraffollato?, in “Futuri”, n. 4, dicembre 2014.
- Restrepo Rivera J., Oltre il biologico: l’agricoltura organica, intervista su https://www.youtube.com/watch?v=8IS6YXkSPak
- Seyfang G., Ecological citizenship and sustainable consumption: examining local organic food networks, in “Journal of Rural Studies”, n. 22, 2006.
- Shiva V., Campi di battaglia. Biodiversità e agricoltura industriale, Edizioni Ambiente, Milano, 2009.
- Weisman A., Conto alla rovescia, Einaudi, Torino, 2014.