Allo stato attuale delle nostre possibilità tecnologiche l’invecchiamento (e conseguentemente la morte) è un problema che uccide ogni giorno circa 100mila persone, eguagliando nel giro di un mese le più sanguinarie guerre che la nostra specie abbia mai affrontato: non ce ne curiamo soltanto perché causa di questa carneficina non è la fame, un regime totalitario, una persecuzione, ma un fenomeno che generalmente accettiamo come inevitabile e naturale.
La storia ci insegna che nel corso dei secoli la durata media della nostra vita (non quella massima, che biologicamente si ritiene sia di 120 anni, anche se Jeanne Calment, la più longeva nella storia, di candeline ne ha spente quasi 123) è aumentata sempre più, passando dai 30 anni del Medioevo ai circa 72 attuali, con un trend in continua crescita, complici una sanità più adeguata, migliori condizioni igieniche, maggiore diffusione della cultura.
Spinti da questo oggettivo andamento, molti ricercatori da tempo hanno iniziato ad analizzare l’invecchiamento da un’altra ottica, come un accumulo di patologie degenerative su cui oggi, per la prima volta, iniziamo ad agire.
Nel corso della nostra evoluzione come specie umana, infatti, non abbiamo avuto la necessità di sopravvivere a un’età superiore a quella riproduttiva, anzi per la scarsità di risorse ne avremmo sofferto. I geni dell’estensione della vita sono stati quindi eliminati dalla selezione naturale, senza mai potersi attivare. Tuttavia nell’abbondanza moderna, comunque maldistribuita, questo è un limite con cui non siamo più costretti a fare i conti.
A dire il vero i mezzi a nostra disposizione, oggi, per superare il limite di cui sopra, sono abbastanza esigui, e riguardano principalmente lo stile di vita personale, cercando di trovare il miglior compromesso soggettivo tra supplementi alimentari (nutrienti, ormoni, medicinali), abitudini quotidiane e l’applicazione di una medicina preventiva (diversa da quella odierna di controllo sintomatico che entra in gioco solo quando la patologia si manifesta e quindi, spesso, è troppo tardi). Il tutto è complicato da una conoscenza parziale del nostro organismo ed è per questo che, quotidianamente, capita di leggere opinioni contrastanti su cosa, come, quanto assumere una determinata sostanza integrativa.
Gli effetti di tutto ciò, però, si limitano a un efficiente mantenimento del nostro organismo più che a una significa estensione della durata della vita, poiché nel quotidiano non si riescono a riprodurre gli ottimi risultati che si hanno invece nei laboratori di ricerca.
Quello che possiamo fare oggi è, comunque, di fondamentale importanza per costruire un ponte teso a farci raggiungere la tarda età in buona salute e permetterci quindi di abbracciare terapie significative ora teoriche o sperimentali.
Tali terapie, testate in larga parte sui topi (mammiferi con un corredo genetico sorprendentemente simile al nostro), sono portate avanti da un gran numero di centri di ricerca: il SENS (Strategie per l’Ingegnerizzazione di livelli trascurabili di Senescenza) è sicuramente quello più all’avanguardia.
Il SENS è un approccio ingegneristico all’invecchiamento inteso, nella visione di chi vi opera, come un insieme di mutazioni molecolari che portano all’accumularsi di lesioni che, superata una soglia, diventano disturbi: una continua manutenzione di questi eventi biologici collegati tra loro garantirebbe un’estensione della vita teoricamente illimitata, così come oggi estendiamo indefinitamente la durata di un’automobile con interventi continui di mantenimento.
Tale modus operandi non agisce sul metabolismo in sé (causa), ma ripara il deterioramento (conseguenza), posponendo il confine patologico di cui sopra. Un anziano, infatti, ha meno anni di vita sana davanti a sé rispetto a un giovane solo per alcune differenze cellulari e molecolari, non per le cause che hanno dato vita a tali differenze. Con metodi sufficientemente approfonditi di cura di questi effetti più che dei fattori che li scatenano, potremmo vivere da giovani adulti per un tempo molto lungo.
I campi di azione di queste terapie sono riconosciute all’unanimità dal mondo scientifico (in primis impoverimento cellulare, mutazioni mitocondriali e del nucleo, rifiuti intra-extracellulari) così com’è riconosciuta la previsione che tali cure inizialmente saranno poco efficaci, ma comunque utili nel fornire del tempo in più.
L’obiettivo del SENS, in definitiva, è esattamente quello di fornire quanto più tempo possibile per avvalersi di metodologie sempre più mirate. Tale concetto è riassunto nell’idea di velocità di fuga della longevità formulata dal biogerontologo, nonché fondatore del SENS, Aubrey de Grey ed è spiegabile con un esempio molto semplice: un individuo che si getti con un jet-pack spento da una montagna avrà una velocità di caduta costantemente più elevata e quindi sempre meno tempo a disposizione fino a quando, accendendo il jet-pack, non rallenterà e potrà decidere egli stesso dopo quanto tempo poggiare i piedi a terra.
Per quanto importante possa essere l’estensione di cui parliamo, i ricercatori rifiutano l’idea di immortalità, definendola abusata e superficiale: niente, per quanto ne sappiamo oggi, ci potrà proteggere da morti accidentali, malattie incurabili in un dato periodo storico ed altri eventi non prevedibili, anche se una stima che tiene conto di tutti questi fattori lo stesso de Grey ha provato a farla, stabilendo che nella migliore delle ipotesi raggiungeremmo un’età media al limite di 1200/milleduecento anni.
Prima di poter affrontare una realtà di questo tipo tuttavia, molti problemi al di là di quello biologico devono essere risolti, come ad esempio quello della sovrappopolazione, dell’economia degli anziani, degli equilibri sociali.
Sono stati sviluppati modelli teorici capaci di gestire tutti gli aspetti di una società estremamente longeva anche se già oggi, senza accorgercene, stiamo puntando in quella direzione: il numero di persone cresce meno rispetto a prima per un maggiore livello di benessere ed educazione. Ne consegue che le risorse personali si spostano verso carriere e stili di vita piuttosto che su famiglie numerose. L’estensione della vita avrebbe quindi un impatto incrementale più che esponenziale sulla crescita demografica, e sempre più lento.
Stiamo imparando inoltre a prendere spunto da ecosistemi costruiti alla perfezione da esseri viventi teoricamente immortali quali la Turritopsis Nutricula e l’Hydra, cercando di comprendere meglio i loro meccanismi per applicarli alla nostra natura, e stiamo cercando alternative all’intervento biologico tramite tecnologie quali la Crionica o l’ingegnerizzazione inversa del Cervello, primo passo verso il ben più teorico Mind-Uploading: sono tutte strade sperimentali che tuttavia ci indicano quale via maestra abbiamo intrapreso ormai da tempo.
Da quando infatti l’uomo ha iniziato a modellare la realtà in base alle proprie necessità è nata anche l’idea di poter sconfiggere la morte. Si continueranno a fare molti passi in avanti e un giorno si riuscirà perlomeno a decidere quando poter morire, piuttosto che l’accettazione inevitabile della morte.
Ciò non toglie che prima di ogni scoperta scientifica e tecnologica ci sia bisogno di una forte etica e una forte morale che ne facciano da base. Abbiamo le possibilità di diventare una società che oggi riusciamo ad intravedere soltanto nei racconti: mantenendo il giusto equilibrio tra curiosità e saggezza potremmo continuare l’incipit di questo articolo scrivendo una storia che per il momento possiamo solo sognare.